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Henrik Ibsen, Peer Gynt

In questa recensione:

• Hegel versus Kierkegaard: la battaglia del (19°) secolo!
• Strindberg e Jarry tra i debitori del Peer Gynt!
• Rolf Fjelde rende giustizia al Peer Gynt in una conferenza tenuta ad Harvard nel centenario dell’opera!
• Zygmunt Bauman illustra l’attualità del  Peer Gynt nell’epoca della modernità liquida!
• Musiche di Edvard Grieg.

Nella conferenza pubblicata come introduzione a questa edizione Einaudi, Rolf Fjelde sostiene che “Peer Gynt si pone all’origine del teatro moderno”. Le sue argomentazioni sono troppo estese e articolate per venire riportate qui; a me interessa quantomeno citare un aspetto specifico del suo discorso:

lo schema temporale” dell’opera è organizzato “lungo un periodo di tempo di cinquant’anni ben determinati, dagli inizi del XIX secolo fino agli anni tra il 1860 e il 1870. Guardando indietro, Ibsen poté considerarlo come un periodo critico di cambiamento nel carattere della civiltà nel suo complesso e conseguentemente fece del suo protagonista un eroe della storia del mondo che, senza rendersene conto, e ben oltre la sua personale importanza, registra gli sviluppi di diverse sfere, sociale, politica, economica e, non meno importante, intellettuale, come l’araldo di una trasformazione nel pensiero europeo. Le circostanze posero Ibsen in una posizione straordinariamente favorevole: non c’è infatti una transizione più conseguente nella filosofia del XIX secolo di quella che si riflette in Peer Gynt. La disastrosa guerra del 1864 tra la Danimarca e la Prussia, alla quale la commedia di Ibsen era una risposta diretta, trovò una replica nel confronto tra l’ultimo dei grandi filosofi essenzialisti, il tedesco Hegel, e il primo degli esistenzialisti, il danese Kierkegaard. Ciascuno dei due aveva indicato una via alla realizzazione di sé che influenzò profondamente Ibsen negli anni della sua formazione; le due vie erano incompatibili e la scelta procrastinata, ma inevitabile, costituisce la tensione filosofica dell’opera”.

Peer Gynt è il dramma kierkegaardiano di Ibsen, ed è costellato di simboli che inscenano le teorie del filosofo danese.

Al contempo, al fine di portare sul palco tematiche di estrema attualità per la filosofia europea dell’epoca, Ibsen fa ricorso al folklore nordico, di cui quest’opera è forse il migliore esempio letterario. E, d’altro canto, proprio il famoso ‘sogno dei troll’ nella seconda metà del secondo atto è un precedente fondamentale per il teatro onirico moderno—che userà il sogno come espediente per analizzare e raccontare l’inconscio, da Un sogno di Strindberg a Ubu Roi di Jarry, che a sua volta avrebbe portato al teatro dell’assurdo.

Ma l’attualità di  Peer Gynt non si esaurisce nell’aver precorso e inaugurato  gli sviluppi del teatro novecentesco: il suo nucleo tematico ci parla della nostra contemporaneità. È un testo moderno, modernissimo; perfino postmoderno, a giudicare da quanto Zygmunt Bauman ha avuto modo di dire in Intervista sull’identità:

[L’esistenza di] una sola e unica «vera identità» [è] un presupposto che appare poco credibile a persone che corrono dietro ai cambiamenti della moda: sempre e soltanto mode, ma sempre obbligatorie finché sono di moda. Così l’eroe di Henrik Ibsen, Peer Gynt, ossessionato per tutta la vita dall’idea di trovare la sua «vera identità», riassumeva la sua strategia di vita: «Voler arrestare il tempo saltellando e ballando!»
Tutti coloro che oggi si sentono confusi e infastiditi dall’elusività dell’identità (il che vuol dire praticamente tutti) dovrebbero leggere e riflettere sul
Peer Gynt, l’opera teatrale pubblicata nel 1867. Lì tutti i problemi dei nostri giorni sono, profeticamente, previsti ed esplorati.
Ciò che Peer Gynt temeva sopra ogni altra cosa era «la certezza che non potrò mai tornare libero», rimanere inchiodato aa un’identità «fino al termine dei miei giorni». A questa storia «che non potrò mai più tornare indietro, […] io non acconsentirò mai». Perché una simile prospettiva era terrificante? Perché «chi può sapere cosa c’è dietro l’angolo?»; quello che ora ci sembra bello e confortevole e dignitoso può rivelarsi, una volta girato l’angolo, brutto, inadatto e spregevole… Per sfuggire ad una simile, non invidiabile eventualità, Peer Gynt aveva optato per quelli che si possono definire solo come «colpi preventivi»: «l’arte di osare, l’arte di avere il coraggio di agire è: restar libero di scegliere», «sapere di certo che col giorno di lotta non hanno termine i giorni», «sapere che ci resta aperto un ponte che permette la ritirata». Perché questa strategia desse frutti, Peer Gynt decise (sbagliando, come viene fuori alla fine della storia) di «spezzare, da ogni parte, i vincoli che ci piegano alla patria, agli amici, buttare al vento tesori e ricchezze… dare l’addio alla felicità d’amore…». Perfino essere un imperatore era un affare rischioso, con tutto quel carico di obblighi e legami. Gynt deisderava esser soltanto «l’imperatore della vita umana». Seguì questa strategia fino alla fine, solo per chiedersi, al termine della sua lunga vita, confuso, triste e disorientato: «Sai dove sia stato Peer Gynt in tutti questi anni? […] Dov’era il mio io vero, intero?». Nessuno poteva rispondere a questa domanda tranne Solvejg, il grande amore della sua giovinezza, rimasta fedele al suo amore anche quando il suo innamorato aveva deciso di diventare l’imperatore della vita umana, e lei rispose. «Dov’eri? Nella mia fede, nella mia speranza e nel mio amore».

Una volta appurata, anche solo in maniera molto sommaria, la grandezza dell’opera, spendiamo un paio di minuti per scoprire qual è la sua fortuna editoriale in Italia. L’edizione che ho letto io, grazie ad un provvidenziale prestito bibliotecario, è del 1975 (lo stesso anno di Horses di Patti Smith) e non è mai stata aggiornata. Oltretutto, la traduzione è quella di Anita Rho, buon’anima, datata 1959 (che l’Einaudi stia andando a scatafascio è un altro discorso, ed è sotto gli occhi di tutti; inizio a pensare che sia giunto il momento di un esproprio proletario). Non sarebbe forse il caso di una ristampa aggiornata? Magari un’edizione critica e con testo a fronte per gli appassionati di letterature nordiche. Nel 2017 cadranno i 150 anni di Peer Gynt. Quella sarebbe un’ottima occasione.

Quando seguirete il consiglio di Ziggy Bauman e leggerete Peer Gynt, non tralasciate l’opera che Edvard Grieg scrisse appositamente come accompagnamento scenico. Non mi riferisco tanto alle due suite, rispettivamente op. 46 e op. 55, che contengono solamente quattro composizioni ciascuna e costituiscono di fatto un mero ‘best of’ dell’originale musica di scena (op. 23), che include invece più di trenta pezzi e accompagna l’intero svolgimento della trama come un’autentica colonna sonora, firmata per l’occasione dal più grande compositore nazionale. Da par suo, Grieg coglie e sottolinea tutte le sfumature emotive di un testo estremamente ricco e sfaccettato.

Edit: a quanto pare c’è un’edizione italiana recente del Peer Gynt, è della ETS, 2011, a cura di Franco Perrelli, ISBN 9788846728234.

Henrik Ibsen
Peer Gynt
(1867)
traduzione di Anita Rho, introduzione di Rolf Fjelde
pp. XXIII-134, €12
Einaudi, 1975

Giudizio: 5/5.