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Nell’era di Project Gutenberg la ragione per cui ho preso in prestito quest’edizione è duplice: il piacere di rileggere l’originale e la curiosità di consultare la traduzione.
E sono rimasto deluso: sebbene Ceni sia poeta in proprio, e dovrebbe quindi essere lecito supporre una sua familiarità profonda quantomeno con la ligua d’arrivo, il risultato secondo me lascia a desiderare. Perde (inevitabilmente) la musicalità e il ritmo dell’originale senza conseguirne una propria, scadendo anzi a tratti nel ‘traduttorese’.
Forse sono io a non saperla abbastanza lunga, e a non rendermi conto che il buon Ceni non poteva fare di meglio con gli strumenti a sua disposizione; forse il confronto con Coleridge è davvero troppo impari.
Quanto all’originale, mi ha entusiasmato ancora una volta; non tanto per la pur decantata prosodia, un po’ scontata per quanto sorprendentemente efficace, ma piuttosto per la straordinaria vividezza con cui la vicenda viene narrata. Il testo trasmette suoni, voci, colori, sensazioni tattili e perfino olfattive.
Molto interessanti anche gli inserti in prosa, che non conoscevo: è vero che interrompono il ritmo incalzante dei versi, ma per chi ha già letto il poema sono un piacevole commento inter-testuale. E citando Borges, non posso non notare che la prosa non è meno poetica dei versi…
Samuel Taylor Coleridge
La ballata del Vecchio Marinaio & Kubla Khan (1798)
traduzione di Alessandro Ceni, introduzione di Ettore Canepa
pp. xx – 66, €5
Feltrinelli, 2002
Giudizio: 4/5.