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Iosif Brodskij, Fondamenta degli Incurabili

A costo di venire accusato di depravazione, confesso che il mio Paradiso è puramente visivo, ha a che fare con Lorrain più che con la dottrina ed esiste solo per approssimazione. In fatto di approssimazione, questa città è la massima possibile. Poiché non sono autorizzato a scoprire come la cosa si presenti dal punto di vista opposto, posso permettermi di essere restrittivo.

Un commento a questo libro sarebbe superfluo.

Il casus è piuttosto noto: il Consorzio Venezia Nuova commissionò l’opera a Brodskij nel 1989, due anni dopo l’assegnazione del Nobel per la letteratura. A partire dal 1972, anno del suo esilio, Brodskij aveva visitato la città quasi ogni inverno.
Brodskij confessa subito di non sopportare il caldo estivo né le masse di turisti: “la loro mobilità stride troppo con la stasi del marmo. Devo essere uno di quelli che preferiscono la scelta al flusso, e la pietra è sempre una scelta”. Predilige l’inverno perché “Se questa stagione non ti calma necessariamente i nervi, li subordina però ai tuoi istinti: alle basse temperature la bellezza è bellezza”. Ammetterà in seguito, più prosaicamente, di approfittare per le sue vacanze veneziane della pausa invernale all’università statunitense in cui insegnava: la University of Michigan. Da questa predilezione per l’inverno nascono pagine divertenti sullo scarso isolamento termico delle vecchie case veneziane, pagine enigmatiche sulla nebbia e pagine incantevoli sulla luce invernale: “è una luce privata, la luce di Giorgione o del Bellini, non la luce del Tiepolo o del Tintoretto. E la città vi si crogiola, gustandone il tocco, la carezza dell’infinito dal quale essa è venuta”.

La mia impressione è che l’autore abbia coagulato attorno a Venezia alcune caratteristiche della sua poetica: ironia, autobiografia, levità, primato dell’occhio e della vista… Il risultato è un testo breve, volutamente lieve, ma non per questo meno prezioso. Brodskij inanella pareri tanto personali da essere idiosincratici, eppure così brillanti da lasciare senza parole. Non inganni l’incipit dimesso; il pregio sta nell’apparente nonchalance con cui l’autore intesse le sue riflessioni.
Il discorso di Brodskij è così stringente da provocare un’autentica coazione alla citazione: verrebbe voglia di riportare interi capitoli. Il numero di brani che i lettori generalmente traggono da questo libretto di appena cento pagine è più che eloquente; io stesso ho contribuito con la mia dose, che per inciso vale più di questo commento. Ho cercato di estrapolare i brani che mi parevano capaci di vivere di vita propria, ma è nel tessuto del testo che acquistano tutto il loro risalto.

Personalmente rientro nel novero di quanti hanno letto questo libro non perché è di Brodskij ma perché parla di Venezia. Non avevo ancora letto null’altro del poeta e saggista (pur essendo curioso) ed ero tuttavia ansioso di aggiungere questo libro alla lista: Il mercante di Venezia, il primo atto dell’Othello e il quarto canto del Childe Harold’s Pilgrimage; poi Il carteggio Aspern, Il ritorno di Casanova, La morte a Venezia, Venezia salva (non stupisce che in epoca post-decadentista Venezia abbia ispirato gli scrittori di lingua tedesca) e ancora Concerto barocco, Passione, L’altra Venezia… Alcuni di questi ancora non li ho letti, ed altri, come Le pietre di Venezia, non ho nemmeno fretta di leggerli.
Per non parlare dei testi dei nativi, Casanova e Giorgio Baffo e perfino Hugo Pratt—risalendo fino al Milione di Marco Polo, che Calvino catalogava tra i “libri che diventano continenti immaginari in cui altre opere letterarie troveranno il loro spazio”. Pur non condividendone la struttura regolarmente poliedrica, per me Fondamenta degl incurabili fa il paio con Le città invisibili dello stesso Calvino, che peraltro Brodskij cita esplicitamente:

Credo sia stato Hazlitt a dire che l’unica cosa che potrebbe superare questa città d’acqua sarebbe una città costituita nell’aria. Era un’idea degna di Calvino, e chi sa, nella scia dei viaggi spaziali, qualcosa di simile può ancora succedere.

D’altro canto, come mi faceva notare un’amica, è a Venezia che il Marco Polo di Calvino pensa sempre, quando descrive a Kublai Kan le città visitate, forse solamente nell’immaginazione.

Coda: Iosif riposa ora nell’isola di S. Michele, in quello che lui stesso definiva “l’acquerello più bello del mondo”, assieme ad altri suoi conterranei, come Stravinskij e Djagilev. E a me rimane la domanda: con che criterio avventurarmi nella sua produzione?

Iosif Brodskij
Fondamenta degli Incurabili
traduzione di Gilberto Forti
pp. 108, €9
Adelphi, 1991

Giudizio: 4/5.