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Predrag Matvejević, L’altra Venezia

«Ero davvero a Venezia, non più nell’immagine che ne serbavo».

 Ristampato nel 2009 con il titolo Venezia minima.
Entrambi i titoli rispecchiano il metodo adottato dall’autore; come spiega La Capria nella prefazione, una “accurata archeologia della mente, che scava e scopre frammenti e reperti pulendo delicatamente con un pennello la realtà sepolta sotto la polvere delle rappresentazioni, è la strategia di Predrag Matvejević per avvicinarsi a Venezia”.

Emblemi di questo modus operandi, ad esempio, sono i capitoli dedicati all’erba di Venezia, alla “flora murale”, che immagino abbiano infastidito altri lettori. Eppure la scelta stilistica di Matvejević è tutt’altro che pretestuosa; è anzi altamente simbolica e quasi inevitabile. Scrivendo di una città di cui ogni singola pietra è stata già cantata, non resta forse che infilarsi nelle fessure come fanno i fili d’erba fra i masegni, “là dove nessuno se li aspetta e dove —si direbbe— non servono a niente”.

Una storia diversa, più giusta, darà a questa prole erbacea, a questo proletariato murale, un posto più importante. Senza di esso l’immagine del mondo accanto a noi —e quella della stessa Venezia— sarebbe più disadorna e scialba”.

Quando poi arriva a parlare delle pietre, l’autore non si concentra sulla statuaria ma su pàtere e formelle: sculture modeste, eseguite non da maestri di scalpello ma da intagliatori improvvisati, “esposte al vento e alla pioggia, al caldo e al freddo (…) Il tempo e le intemperie ne corrodono e raschiano la superficie, incidono su di esse rughe e solchi imili a quelli del volto umano”. Da qui il nome di sculture esterne o anche erratiche, “per caratterizzare un destino randagio”.

Matvejević inanella dettagli generalmente ignorati dalla letteratura su Venezia. Prende la via d’acqua, facendosi accompagnare su isole poco note e pressoché disabitate; visita una sorta di cimitero dei gabbiani; dedica un capitolo alla misconosciuta Chioggia. Menziona San Marco in Boccalama, una delle isole “affondate, scomparse, dimenticate”; sede di un convento di benedettini, fu ingoiata dalla laguna, e se ne perse anche il mero ricordo. I recenti lavori di scavo sul sito dell’isola, cui Matvejević ebbe occasione di assistere, riesumarono tra i molti reperti l’unico esemplare esistente di un certo modello di galea medioevale.

Matvejević, nato a Mostar da madre croata e padre russo, è figlio di quel Mediterraneo che, come lui stesso ricorda, “un tempo era detto golfo di Venezia”. Non stupisce quindi il suo interesse per Venezia.

Quelli che arrivano a Venezia dai vari centri dell’Europa vi incontrano l’Oriente. Per le popolazioni dei Balcani e del Vicino Oriente, invece, Venezia è al tempo stesso Europa e Occidente! Gli uni vedono in essa le origini di Bisanzio, gli altri la fine. Venetiae quasi alterum Bysantium sono le parole del celebre cardinale Bessarione, che a suo tempo arricchì la Biblioteca di San Marco con i tesori librari della bizantina Costantinopoli. Nella sua saggezza, Venezia non volle sul proprio territorio lo scontro fra bizantinità e romanità che invece ha dilaniato alcune regioni dei Balcani. Qui sta una delle caratteristiche di questa città. Il «divano orientale-occidentale» non è in nessun luogo così largo e soffice come in questo spazio esiguo e scomodo”.

Predrag Matvejević
L’altra Venezia
traduzione di G. Scotti, prefazione di Raffaele La Capria
pp. 128, €11
Garzanti, 2003 e 2009

Giudizio: 4/5.