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David Cronenberg, Cosmopolis

Pubblicato il 9 luglio 2012 su Cabaret Bisanzio.

Prontamente salutato dai titoli sensazionalistici della stampa come il primo film sull’attuale crisi economica, l’ultima prova di David Cronenberg è in realtà l’ennesimo attestato (dall’impeccabile tempismo, questo sì) alla capacità di DeLillo di leggere e interpretare il presente. Tanto il film quanto il libro del 2003 da cui è tratto sono ambientati nell’aprile del 2000, nel momento esatto dell’implosione della bolla delle dot-com: la penultima, ad oggi, crisi del capitalismo, in attesa che, inevitabilmente, ne arrivino altre.

La colpevole causa di quella come di questa crisi è incarnata nel protagonista della vicenda, il ventottenne multimiliardario talento della finanza Eric Packer, che vediamo alle prese con una spropositata e sconsiderata scommessa contro lo yuan (nel romanzo era lo yen) e che, contestualmente, è determinato ad “aggiustare il taglio” dal suo barbiere di fiducia, incurante del fatto che il tragitto attraverso una midtown Manhattan particolarmente affollata potrebbe portargli via l’intera giornata.

Questa giornata, dall’alba al tramonto e fino a notte fonda, coincide con lo svolgimento del film: un aggiornamento postmoderno dell’Odissea di Leopold Bloom attraverso la Dublino joyciana. New York è la Cosmopolis del titolo, capitale del capitalismo e compendio del globo, com’è evidente dalla sua dimensione multietnica: in un film che si svolge per buona parte a bordo di una limousine, gli effetti collaterali del capitalismo sono esemplificati dai tassisti della Grande Mela, che, come osserva Eric, “vengono da orrore e disperazione”.

Il tragitto ha inizio nell’attico a tre piani in cima alla “più alta torre residenziale del mondo” (che nella pellicola non compare), emblema del successo e del capitale di Eric, e termina nei bassifondi di Hell’s Kitchen (nomen omen), fino al confronto finale con Benno Levin, che forse non è altro che una versione alternativa di Eric Packer: quello che sarebbe stato senza il suo talento.

Un talento, su cui si fondano l’intera fortuna e l’impero finanziario della Packer Capital, che è quello di prevedere l’andamento dei mercati monetari mondiali. Il successo di Eric sta nel suo saper vedere il futuro, e lui sembra davvero vivere nel futuro, anche se solo di qualche attimo. Vija Kinski, la ‘consulente di teoria’ di Packer, in realtà una teorizzatrice del postmoderno tout court, sostiene che “oggi il tempo è un bene aziendale. Appartiene al sistema del libero mercato. Il presente è più difficile da trovare. Lo stanno risucchiando fuori dal mondo per fare posto a un futuro di mercati incontrollati ed enormi potenziali d’investimento. Il futuro diventa insistente”.

La densità di dialoghi simili, che la sceneggiatura di Cronenberg trascrive fedelmente, operando anzi alcuni tagli che ne affilano ulteriormente l’efficacia, è stata giudicata poco realistica; ma è perfettamente funzionale, perfino necessaria, alla compressione cui il film è sottoposto, ancor più di quanto lo fosse il libro. Una compressione che si rispecchia anche nella colonna sonora, scritta da Howard Shore, collaboratore di lunga data di Cronenberg, ed eseguita dai Metric: melodie chitarristiche sembrano procedere innaturalmente al rallentatore su basi ritmiche che scorrono invece a grande velocità, quasi sullo sfondo, creando uno straniante effetto parallasse; il senso di una calma mantenuta al di sopra (e in piena coscienza) di un flusso d’informazioni costante e troppo rapido per essere afferrato.

Un futuro insistente, famelico, descritto da una pellicola che parla dell’interazione tra capitale e tecnologia in modo non dissimile dal cyberpunk*. Vorace fin quasi alla frenesia, di sesso come di cibo,  è anche lo stesso protagonista; fino alla bulimica dedizione con cui spende o vorrebbe spendere il proprio denaro.

Eppure, per tutto il giorno Eric cerca di ancorarsi al presente: di viverlo nel momento in cui accade. E il suo tragitto è un viaggio a ritroso nel tempo, la cui destinazione è la sua infanzia: il palazzo in cui ha trascorso i suoi primi anni, il barbiere che frequentava suo padre. Quel padre morto di tumore, repentinamente, quando Eric aveva solamente cinque anni. L’ossessiva determinazione con cui Eric, nonostante i numerosi ostacoli, persevera nel voler “aggiustare il taglio” non è quindi altro, forse, che il desiderio di ritrovare le proprie origini familiari, di ricordare il padre nelle parole di chi l’ha conosciuto. Ed il viaggio di Eric è anche, forse, il tentativo di sopperire ad una cronologia personale assente: la sfida di basket uno-contro-uno, il techno-rave, sono attività tipicamente giovanili, caratteristiche di quell’adolescenza e giovinezza che forse non ha mai vissuto, già risucchiato dal proprio futuro.

Nel corso della giornata, Eric si spoglia letteralmente e figurativamente di quanto possiede, di ciò che lo definisce, e si presenta simbolicamente nudo (ma vivo) al barbiere, e poi alla resa dei conti finale con Benno Levin: Eric perde capi d’abbigliamento, e soprattutto perde denaro, ostinatamente, compulsivamente; si libera delle guardie del corpo e alla fine anche della limo, che fino a quel momento è stata un’estensione metallica e cibernetica, la sua interfaccia tanto con la realtà esterna quanto con il capitale.

Questo impulso autodistruttivo rispecchia le tesi di Jean Baudrillard sul 9/11: il capitalismo è un sistema talmente perfetto, spietato ed efficiente, capace di inglobare anche le voci dissidenti (la protesta degli anarchici, che sembra preconizzare Occupy Wall St. e che Vija Kinski descrive in termini perfettamente baudrillardiani: “sono necessari al sistema che disprezzano. Gli forniscono energia e definizione. Sono manovrati dal mercato. È per questo che esistono, per rinforzare e perpetuare il sistema”), da giungere infine a desiderare la propria implosione. Il capitalismo vuole soccombere alla propria efficienza, di cui Eric Packer è un’incarnazione perfetta, come lui stesso riconosce; le Twin Towers volevano crollare.

Che il Kapitalismus abbia più volte tentato il seppuku è sotto gli occhi di tutti; forse sarebbe più saggio assecondarlo, anziché ostinarsi nell’accanimento terapeutico.

* La convergenza è biunivoca. Contestualmente, anche il cyberpunk si è sviluppato nella medesima direzione. William Gibson, dopo la Trilogia dello Sprawl degli ’80 e quella del Bridge dei ’90, nel nuovo secolo ha composto una trilogia che include il 9/11 e che sembra svolgersi appunto in un futuro molto prossimo.

David Cronenberg
Cosmopolis (2012)
dal romanzo omonimo di Don DeLillo (2003)
109′

Giudizio: 4/5.