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Kurt Busiek, Marvels

Ricordo quando uscì in Italia la prima volta, a ridosso della pubblicazione originale. Era l’autunno del 1994, ed io avevo iniziato a seguire i fumetti da pochi mesi, contestualmente alla nascita della Marvel Italia. All’epoca le cose succedevano in fretta; eppure questa miniserie divenne subito una pietra di paragone quanto ad ambizione e qualità.
Il progetto era sensazionale già nella scala: Marvels è un affresco che abbraccia l’intera storia del Marvel Universe dalle sue origini, decenni di storie e decine di personaggi.
L’intento celebrativo è evidente fin dal titolo: marvels, meraviglie, sono i supereroi che irrompono in una New York da poco uscita dalla Grande Depressione e momentaneamente solo spettatrice della Guerra Mondiale. Proprio in quel 1939 erano usciti i primi pulp magazines della Timely Comics, che un paio di decenni più tardi sarebbe diventata la Marvel Comics. La miniserie ripercorre la storia di quell’universo fittizio, dalla Golden Age dei ’40 passando per la Silver Age dei ’60 fino al 1974.

Una rivisitazione della storia della casa editrice, ma dalla prospettiva dell’uomo comune. Il concept non è del tutto originale: un’idea simile era stata usata ad esempio da Barry Windsor-Smith per Arma X, che raccontava le origini di Wolverine senza mai adottare il punto di vista del protagonista. In questo caso tuttavia l’espediente è particolarmente azzeccato, perché l’occhio narrativo è quello di Phil Seldon, fotoreporter che inaugura la propria carriera proprio alla fine degli anni ’30 e nel corso della sua vita vede salire alla ribalta varie generazioni di supereroi.
Tra i tanti, prominenti sono ovviamente gli eroi ‘pubblici’, quelli non mascherati: i Vendicatori, soprattutto Capitan America, e ancor più i Fantastici Quattro. L’Uomo Ragno fa qualche apparizione fugace, più che altro sulla copertina dei quotidiani: come sanno gli appassionati, il suo alter ego Peter Parker è a sua volta fotoreporter, e il suo direttore notoriamente detesta i supereroi. Seldon ha quindi occasione di indignarsi per il modo pregiudiziale con cui, pur di sbarcare il lunario, Parker presenta l’Uomo Ragno, ignorando ovviamente che si tratta della stessa persona. J. Jonah Jameson compare d’altronde fin dalla primissima vignetta, giovane collega di Seldon.

La miniserie affronta la reazione della gente comune ai supereroi: all’iniziale sgomento davanti ai loro poteri segue lo sdegno per le distruzioni, che sono un semplice effetto collaterale dei loro scontri epici; fino al senso patriottico quando diventano ‘i nostri ragazzi’ e combattono al fianco degli Alleati nella guerra mondiale. E ancora il glamour mondano dei Fantastici Quattro (il matrimonio di Reed e Sue è uno degli episodi clou), contestuale però all’odio violento e irrazionale per i mutanti. La loro comparsa, nel secondo numero della serie, è uno dei miei episodi preferiti, uno dei più profondi e storicamente significativi: la ‘caccia al mutante’ sembra rispecchiare l’atmosfera di tensione sociale dei ’60, e non a caso buona parte delle vittime dei disordini sono di colore.
Questo è solo un esempio del modo in cui la Storia e le vicende dei supereroi si fondono magistralmente in questa serie. La compressione temporale evidenza un aspetto delle storie Marvel che ho sempre trovato comico -e non nel senso di comics-: ogni cosa succede a New York. Namor decide di attaccare la terraferma, e dove si infrangono le sue onde artificiali? Galactus, il divoratore di mondi, decide di papparsi il pianeta (ergo il nomignolo), e dove atterra?
D’altro canto c’è un momento, forse meta-narrativo, in cui è affrontato questo aspetto: un collega di Seldon si congratula quando lui rifiuta di andare in Europa come corrispondente di guerra, pur di poter seguire i supereroi nella Grande Mela.

I due autori sfruttano al meglio questa prospettiva.
Lo scrittore Kurt Busiek dà alla storia un taglio giornalistico, mostrando in che modo la stampa e l’opinione pubblica fanno i conti con un mondo popolato di supereroi e supercriminali. All’importanza del mondo giornalistico nella serie ho già accennato; Busiek è arrivato perfino a scrivere appositamente una serie di articoli fittizi…
Ancor più funzionale è lo strepitoso ‘fotorealismo’ pittorico di Alex Ross, davvero innovativo e di una qualità inedita nei fumetti mainstream (correggetemi se sbaglio, ma non mi pare che si fosse visto qualcosa del genere). I suoi personaggi hanno una vividezza spettacolare, e lui ha spiegato di aver usato spesso modelli in carne e ossa per studiare il gioco di luci e ombre, le pose, le espressioni facciali. Non stupisce che abbia impiegato un anno a disegnare le 180 pagine della serie. Ross si è divertito ad infarcire le sue vignette di personaggi famosi: i Kennedy, i Beatles (più volte), gli Who, &c. Ha citato inoltre vari autori e personaggi del mondo fumettistico, da Jack Kirby all’immancabile Stan Lee allo stesso Busiek ubriaco, passando per Lois Lane e Clark Kent (anche loro sono giornalisti) piuttosto che Owlman e Silk Specter da Watchmen. Ma soprattutto, Ross ha ritratto i supereroi anche in incognito, come semplici passanti. Per motivi affettivi io sono legato alle apparizioni di Daredevil, ma ognuno ha le sue preferenze.

Per la cronaca, la miniserie fece ovviamente la fortuna del duo di autori, che riproposero il loro stile anche nelle successive opere per altri editori: Busiek utilizzò il punto di vista dell’uomo comune anche nell’ottima serie Astro City della Image, mentre Ross dipinse Kingdom Come per la DC Comics—che non mi ha emozionato quanto Marvels per il semplice fatto che io sono un fan della Marvel dall’aprile 1994.

Kurt Busiek
Marvels (1994)
illustrazioni di Alex Ross, traduzione di Pier Paolo Ronchetti
pp. 240, €6,9
La Repubblica, 2005

Giudizio: 4/5.