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Maeve Brennan, La visitatrice

Maeve Brennan (1917-1993), figlia del primo console della repubblica indipendente d’Irlanda a Washington, D.C., si trasferì negli States nel 1934 al seguito della famiglia, e vi rimase per tutta la vita.
Collaboratrice regolare di Harper’s Bazaar e del New Yorker, oltre che della rivista dublinese Social and Personal; nel corso degli anni ’50 e ’60 pubblicò alcuni racconti meravigliosi, magistrali, molto ammirati all’epoca anche da John Updike ed Alice Munro. Senza contare i suoi colleghi del New Yorker, nella cui redazione brillava per intelligenza, bellezza e stile. Cambiò più volte domicilio, ma tornò in Irlanda solo per brevi visite; in patria era virtualmente sconosciuta. Mantenne tuttavia un forte legame con la terra nativa, ed aveva una ricca biblioteca di autori irlandesi. Molti dei suoi racconti, a detta di chi la conosceva i migliori, sono ambientati in Irlanda.

La visitatrice è la sua prima opera narrativa. Stando alla postfazione di questa edizione è “databile alla metà degli anni quaranta”, un’epoca in cui l’autrice non aveva ancora compiuto trent’anni. Molto precedente ai suoi racconti quindi (e questo significa, per inciso, che la foto di copertina di una Brennan splendida e nel fiore degli anni è cronologicamente accurata). La visitatrice è un romanzo breve, una novella secondo la definizione anglosassone, e l’unico lavoro di un certo respiro nel canone non esteso dell’autrice. Un lavoro che però lei non diede mai alle stampe; l’unico manoscritto esistente fu ritrovato tra gli archivi dell’università cattolica di Notre Dame, Indiana (adoro questi toponimi statunitensi…) solo nel 1997, e pubblicato postumo nel 2000. Contribuendo a quel punto a dare rinnovata visibilità alla Brennan, contestualmente a due pubblicazioni del 1997: una riedizione espansa di The Long-Winded Lady, la raccolta dei suoi articoli di costume per il New Yorker, ed una nuova selezione di racconti e scritti vari curata da William Maxwell ed intitolata The Spring of Affection dal racconto più celebre della Brennan. Da cui sono tratti i racconti dell’ed. italiana.

La ventiduenne Anastasia King, che in seguito al divorzio dei genitori, sedicenne, si era trasferita a Parigi con la madre, alla morte di quest’ultima torna nella nativa Dublino dall’unico parente rimastole: la nonna paterna. Che nel frattempo ha seppellito l’unico figlio John, e dietro il cordiale contegno cela rancori mai sopiti verso Anastasia e la madre Mary, per aver abbandonato John e la di lui famiglia senza voltarsi. Allo stigma di aver spezzato l’unione coniugale, però, se ne aggiunge sotterraneamente un altro: quello di aver creato quell’unione, violando il rapporto familiare esclusivo della discendenza di sangue.
Nel romanzo le relazioni amorose sono osteggiate, assenti, mancate. Le poche vite che ci vengono mostrate paiono rette da un matriarcato inflessibile, gelido, la cui prima generazione sembra intenzionata a sopravvivere alla seconda e perfino alla terza. Una dimensione esclusivamente femminile.
Anastasia torna quindi in una Dublino invernale, battuta dal vento e dalla pioggia, inospitale; viene accolta nella casa della sua infanzia e giovinezza; ma il calore del benvenuto che riceve è simboleggiato da un dato essenziale: nei tre piani della casa vivono solamente tre persone―lei, la nonna e la domestica Katherine. Dettagli come questo rivelano la bravura di una scrittrice agli esordi (anzi prima dell’esordio…) ma già capace di descrizioni magistrali. Gli scorci di Dublino, rari nei racconti della maturità, sono tra gli aspetti migliori dell’opera.

La mia impressione tuttavia è di un talento ancora acerbo. Non è tanto la costruzione narrativa a lasciarmi un po’ interdetto, perché la sequenza delle scene è ferrea e sapiente; quanto piuttosto i personaggi stessi, a cominciare da Anastasia e dalla nonna. Così come l’assenza di personaggi maschili sembra anticipare uno dei punti deboli della Brennan, più a suo agio con le caratterizzazioni femminili.
Ma a Maeve voglio bene lo stesso. Che poi lei nemmeno voleva pubblicarlo, questo libro.

Dulcis in fundo, non riesco a trattenermi dal fantasticare riguardo l’origine autobiografica di alcuni dettagli. Maeve, ad esempio, aveva 17 anni quando lasciò Dublino, ed è plausibile che abbia provato le stesse emozioni contrastanti di Anastasia.

Ah, qualcuno ha delle ipotesi sul significato del finale?

(Dubliners: perché menzionarli ogni volta che si parla di racconti di ambientazione dublinese?)

Maeve Brennan
La visitatrice (2000)
traduzione di Ada Arduini
pp. 112, €7,9
BUR, 2005

Giudizio: 4/5.